MARGHERITA MARTINELLI


A. Membrini, Avere il vento sottopelle, 2022
C.G. Artese, Sphaera, 2020
C.Gatti, Spazio e altre dimensioni, 2018
S. Merico, Wasabi, 2018
N. Vecchia, Di che cosa è fatto il vento?, 2015
E. Orselli, A proposito di J, 2015
C. Gatti, La vertigine apparente, 2014
R. Schira, A: Mare, 2013
C. N. Thyson, Margherita Martinelli, 2012
A.Von Bargen, Wonderland according to Martinelli, 2010
S. Raimondi, Intim(a)zione, 2009
F. Pagliari, Stanze d’emozioni, 2008
E. Gipponi, Annegamilegami, 2006
E. Gipponi, (Non)sonosolofavole, 2005
Wasabi

Il talento di Margherita Martinelli abita una misura, è un tocco - né troppo forte né leggero; sta nell’intuire il momento preciso per agire, condizione vitale alla sua sensibilità artistica per esprimersi. La sua scrittura cromatica si sta gradualmente lasciando alle spalle la densità simbolica dei lavori passati. Nei quadri è entrato il vento, l'entità più misteriosa e affascinante al mondo: arriva, spettina, passa oltre, se ne va; apre il quadro, trascorre e lascia il posto ad aria pulita, al colore che si annuvola in movimento, soffiando petali e ancora parole. E’ una nuova libertà che opera, nell’opera.
In realtà il quadro non illustra, non rappresenta: cattura un passaggio di tensione che era presente durante il lavoro e ne conserva la freschezza creativa. In genere a monte vi è un’idea –memoria, desiderio, la sensazione di qualcosa di sfuggente o di inespresso – che si traduce in materia, prende forma nel colore in modo apparentemente casuale ma, al contrario, è frutto di progettualità, di un metodo operativo preciso, di disciplina rigorosa, di un ritmo ordinato. E’ una pittura che parte da frasi sciolte, appuntate su un taccuino per fissare una riflessione o un’intuizione; l’idea germoglia nella parola, che nella sua immediatezza è sintesi di pensiero e di immagine, in grado di generare una bozza di composizione, un’atmosfera di colori che si aggrega magari intorno a un ricordo, a una luce, agisce anche nelle regioni invisibili scatenandovi forze sopite. Qualche sillaba si trattiene nel quadro, con una grafia incerta, quasi un guscio vuoto che il vento del colore non è riuscito a spazzare via e che resta ad aggregare attorno a sé un’onda di suono in grado di costruire qualcosa di grafico, come un calligramma. O magari col sapore di un Haiku, fatto per essere guardato e contemplato oltre che per essere letto. Compare talvolta qualche numero, a richiamare l’urgenza del tempo che domina il quotidiano con determinazione aritmetica. L’opera nel suo farsi genera una sorta di paesaggio: immagini che trascorrono, afferrabili solo attraverso uno sguardo contagiato dal respiro, da sensazioni epidermiche, magari da un’idea di profumo. Nella sua indeterminatezza formale può risvegliare in un attimo un ricordo di sorprendente sostanzialità (Onde, Sunday), un’atmosfera precisa (Yellow light, Blue), la complessità di un cielo che si risveglia (Morning light) o di uno stato d’animo (Sonno, No fear). Non si tratta di astrazioni: il coinvolgimento dei sensi è tale da concedere riconoscibilità alle composizioni della Martinelli, impressioni che assumono sovente l’aspetto di un confortante, personale déjà vu o di una bozza di memoria inconclusa, quasi a ospitare letture ulteriori.
Grande libertà interpretativa è accordata per queste opere, che coagulano sulla tela o sulla carta suggestioni imprecise eppure appassionate di dettagli che si radunano con il sapore della casualità. Petali volanti, ramoscelli secchi e leggeri, capovolti, soffiati via dalle circostanze sono fermati nello ‘spazio-quadro’ in virtù del colore umido che a ondate li trattiene come materia aderente, collante, talora aggrumato, ispessito o colato, disciolto e acquoso, asciugato eppure mai veramente risolto. E forse, qui più che altrove e in modo evidente, il banale ciottolo della vita quotidiana se guardato attraverso l’occhio magico dell’arte si trasforma in pietra preziosa, proprio come suggeriva Nabokov.
La contaminazione stessa di materie cromatiche eterogenee nel medesimo quadro è foriera di soluzioni espressive nuove, di un fraseggio pittorico inedito: il colore acrilico asseconda il gesto veloce e lo asciuga rapidamente sul supporto; l’olio regala ai tempi di realizzazione la lentezza e il ripensamento ma, diluito in acqua, non rischia lucentezze sgradite. Di più, i suoi spessori sono inserti di verità che danno tridimensione al piano pittorico. La sua è una pittura ponderata, un tessuto di sedimenti e lentezze, che al contrario sembra dotata di movimento e dinamiche rapide (Wasabi).
Gomma lacca e foglia d’oro costituiscono la punteggiatura di tale originale partitura cromatica che reagisce alle differenti esposizioni luminose assorbendone le vibrazioni. Nulla in tutto ciò si connota come ornamentale accessorio all’opera, al contrario contribuisce a costituirne la struttura e il carattere. Margherita attinge alle esperienze dell’arte passata, ne sfrutta la sapienza e la cultura per tradurle in un linguaggio personale e attuale, apparentemente slegato dalla tradizione dal punto di vista formale ma a lei felicemente debitore in realtà.
L’identità artistica di Margherita Martinelli è in movimento, si nutre di cambiamenti, registra trasformazioni, restituisce nuove conversioni.
Nel cambiamento ella intuisce il germoglio dell’ispirazione, i cardini della propria evoluzione artistica – le novità assorbite durante i viaggi, la sfida di un’esposizione, il trasferimento dello studio. L’esigenza di programmare una mostra non nasce dalla volontà di esporre i risultati di una fase di lavoro, ma dalla necessità di creare una nuova meta per la sua attività pittorica. Quindi l’appuntamento di un’esposizione crea lo stimolo per lavori o temi diversi, conclude una fase e rilancia verso nuovi traguardi.
La sua costruzione, peraltro, non può mai prescindere dal luogo in cui le opere incontreranno il pubblico: il lavoro pittorico si relaziona giocoforza allo spazio, che sempre stuzzica la creatività e l’immaginazione. Ogni mostra chiude un capitolo e apre nuove situazioni; tornare a Crema è un momento importante, per depositare gli ultimi lavori e raccogliere nuove suggestioni che saranno la linfa per l’attività futura.
Occorreva una parola per dare un titolo a questa nuova tappa, un termine che esprimesse qualcosa di antico, qualcosa di liquido, qualcosa di lento e fluido: la scelta dell’artista si è orientata sulla parola wasabi, in giapponese ‘namida’ (lacrima) una pianta dalla coltivazione millenaria e complessa; la sua radice per prosperare ha bisogno di tempo, di una sorgente d’acqua pura e corrente e alla fine regala una sollecitazione sensoriale affascinante, contrastante e potente – cromia delicata e gusto che straripa impetuoso.

Proprio come nelle sue opere.

Wasabi

Margherita Martinelli’s talent embodies moderation, it’s a touch – not too harsh, not too light; it’s the inherent knowledge and intuition on when to act, an essential trait of her artistic sensibility and its expression. Her chromatic signature is gradually shifting and detaching itself from the symbolic consistency of her previous works. The wind, the world’s most mysterious and fascinating entity, has come and entered her paintings: it arrives, ruffles, moves on and disappears. It opens up the painting, flows and leaves the stage to clean, fresh air, to the colour that becomes cloudy with movement, blowing petals and words. It’s a new freedom that operates and works, in the artwork.
The painting itself does not depict nor represent: it captures a moment of flowing tension that was present during the creative process and preserves its creative freshness. At the source of everything there usually is an idea – a memory, a wish, the feeling of something fleeing or unspoken – translated into matter. An idea that evolves and takes shape through colour, in an apparently unplanned way, but that is actually the result of careful planning, a precise method, a strict discipline and an orderly rhythm.
Her paintings arise from free words, scattered and noted down on paper to capture the thought, the intuition of a moment. The idea sprouts up from the word, an encapsulation of a thought or a memory in its immediacy. It allows the creation of an outline of the composition, an ambiance of colours aggregating around a memory, a light that manages to affect the invisible regions of our inner selves and unchain dormant forces. A few syllables still remain on the paintings, delineated by a wavering handwriting; an empty shell that the wind of colours hasn’t managed to sweep away and that still stays, gathering waves of sound around itself and managing to create a graphic sign, a calligram. Like the distinctive zest of an Haiku, born to be gazed upon and contemplated, not only read. Sometimes you can catch a glimpse of a number, a reminder of the urgency of time that rules our days with arithmetic resolution.
The artwork creates some sort of landscape in its making: images that flow, to be seized only through a glance intertwined with breath, epidermic sensations, even the hint of a fragrance. In its inherent indeterminateness, each painting can suddenly rouse a memory of surprising substance (Onde, Sunday), a precise ambiance (Yellow light, Blue), the complexity of an awakening sky (Morning light) or of a feeling (Sonno, No fear). We are not talking about abstract concepts: the involvement of the senses is so real that Martinelli’s compositions acquire recognisability. Feelings and sensations often merging into a personal, comforting déjà vu or a vague draft of an unfinished memory, an opening to new interpretations.
A vast interpretative freedom is intrinsic of these works: they coagulate on canvas or paper intangible and yet passionate suggestions of details, assembled with the impression of fortuity. Roaming and floating petals, desiccated and light branches placed upside-down, blown away by the circumstances and fixed in the “painting-space”, thanks to the damp colours that wave after wave hold them like an adhesive, sometimes thickening and clotting, or pouring, dissolved and diluted, dried and yet never really fixed. It’s probably here, more pronouncedly than anywhere else, that the prosaic pebble of everyday life can become a gem if seen through the magical eye of art, as suggested by Nabokov.
The blend of heterogeneous chromatic materials in every painting is in itself the harbinger of new expressive solutions, an unprecedented pictorial phrasing. The acrylics allow rapidity in each stroke and dry up quickly on the support. Oils bestow slowness and chance for reconsideration on the creative process while, when diluted in water, avoiding unwanted sheen. In addition, the materic inserts confer three-dimensionality to the painted surface. Margherita’s art is thoughtful, woven into sediments and slowness, while at the same time displays movement and swift dynamics (Wasabi).
Shellac and gold leaf represent the punctuation of this original chromatic score, that reacts to different light exposures by assimilating their vibrations. Not one aspect of the ones detailed above is corollary or ancillary to the artwork itself, instead they are active contributors to its structure and character. Margherita draws inspiration from the artistic experiences of the past, skillfully uses their knowledge and culture to translate them into a personal and current language, apparently formally detached from tradition but actually deeply indebted to it.
Margherita Martinelli’s artistic identity is ever-moving, takes nourishment from changes, records transformations and gives back new and different conversions. In transformation she senses the sprout of inspiration, the cornerstones of her artistic evolution – novelties absorbed in her journeys, the challenge of an exhibit, the move from one atelier to another. The need for a solo exhibition does not come from the willingness to show the results of a stage of her artistic development, but from the need to create a new goal and purpose for her creativity. The delineation of an exhibit becomes then the incentive for new works and themes, it concludes one paragraph, a phase, and revamps the shaping of new objectives.
The planning of an exhibit is in itself deeply ingrained in the place in which the artworks will meet the public: the creative process has a strong, visceral connection to the space, element always titillating to creativity and imagination. Every show is the conclusion of a chapter and opens up new situations. Coming back to Crema is an important step, the moment to lay down the last works and pick up new suggestions that will be the nourishment of future activities.
One word was needed as a title for this new phase, a term standing for something old, something liquid, slow and fluid: the artist’s choice has landed on the word wasabi, in Japanese ‘namida’ (tear drop), a plant with complex and millennial cultivation. In order to flourish and thrive, its root needs time and the flowing of clear and pure water. At the end it offers a fascinating sensory stimulus, conflicting and powerful – a delicate chromatism and an impetuous overflowing taste.

Just like her artworks.
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