Journey
Di cosa è fatto il vento?
Il vento arrivò improvviso e inaspettato. Pettinò i lunghi capelli neri di Margherita e soffiò tra i suoi pensieri. Veniva da terre lontane attraverso il mare. Nel suo lungo viaggio solleticava le cose, scrostava i muri e le rocce, rubava pezzetti di marea, pepite di sabbia, fragilità di insetto e di clorofilla, voci e rumori mischiati alle polveri. Margherita ne assaggiò le folate e si accorse che non erano incolori. Sapevano di frutti strani e fiori selvatici. Parlavano molte lingue. Il vento vibrava e viveva come denso plancton. Margherita capì che si posava sui paesaggi e sui colori e imparò a guardarlo. Scoprì le immagini e la luce attraverso lo spessore dell’aria. Davanti a lei non vi era il vuoto, ma il multiforme universo del vento: miriadi di effimeri frammenti, luminescenze, segni nuovi, rifrazioni. Sentì che l’unicità di ogni attimo era una conseguenza dalla luce e dal trascorrere del vento. Provò a fotografarlo e lo dipinse. Le prospettive cambiarono. I
paesaggi sfocati emersero attraverso lo strato del vento. Le sue tele divennero momenti di luce e di aria; si saturarono dei succhi delle stagioni.
Margherita, come il vento, aveva compiuto un viaggio. Dalla pianura libera in cui si nutriva di cieli, di spazi e respirava il mutare ciclico del paesaggio, alla metropoli, in cui lo stesso cielo era solo una scheggia rubata tra i tetti, il tempo correva senza cambiare colore in modo netto. Così il suo sguardo divenne più acuto, si soffermò sui piccoli dettagli che le ricordavano ciò che aveva lasciato e ritrovava, comunque, ancora lì davanti ai suoi occhi. Catturò quei particolari, quei riverberi, le impressioni di quelle determinate giornate e li riversò sulla tela.
Le sfumature leggere si impastarono insieme a particelle, petali danzanti, coaguli concentrati di olio puro, punti di luce abbagliante e ombra, dissolvenze d’oro, parole seghettate, come sussurrate sottovoce. Nacque una materia pittorica nuova, che diede forma all’energia, al flusso di coscienza, al passare del tempo e dell’aria sulle cose, sulla vita. I paesaggi si distesero sulla iuta. Alcuni conservavano la linea dell’orizzonte che si gonfiava come un diaframma tra cielo e terra, tra cielo e mare. Sopra emanava il respiro: nubi si sfilacciavano a perdersi nell’immensità o si addensavano impetuose. Sotto, aridità rosate si espandevano indefinite oppure abissi d’acqua visti in trasparenza, guardati con gli occhi di un pesce, sprofondavano verso il buio e si dilatavano nel moto scivoloso delle correnti. Tuttavia, anche l’orizzonte, presto, andava disgregandosi. Tutto diventava terra e cielo fusi insieme nella luce. I toni polverosi si sommavano a gradazioni più
aspre o azzurre: il cielo è un oceano capovolto increspato dalle spume del sole. L’aria è un oceano che passa e scorre come un fiume.
Margherita fu capace di estrarre l’ossigeno dell’acqua ed esplorò il pulviscolo dell’atmosfera, dandogli una forma e un sapore. Si cucì addosso delle ali. Creò, dunque, atmosfere, sensazioni, opere che, attraverso gli occhi, si sentono con la pelle, con i sensi e si indossano come un abito. Molti significati turbinano, intrappolati nel vento: graffi di pioggia, lame di luce, catene di lunghe, inesorabili ore segnano il corpo e la mente; al contempo, dolci steli, soffici sfumature, cotoni di fumo e carezze di tramonti cicatrizzano e guariscono. L’universo che si offre sulla tela non è rêverie, non è un sogno fantastico; è la vita, lieve, amara splendida, colta nella poesia struggente di un’immagine.
Il vento portava doni insperati e, insieme, rubava una parte di Margherita, la erodeva, la trasformava. Il suo viaggio divenne il loro viaggio; ogni giorno era un journey senza ritorno, sospeso tra piccole notti oscure e ovattate, rischiarate da lucciole e percezioni, pervase di profumi e forme ignote nel buio. Tutto passava, si rimescolava e riaffiorava per poi perdersi per sempre. Ogni istante trascorreva trascinando via con sé un po’ di quello che lei era e ricoprendola di una nuova veste.
Natalia Vecchia
Journey
What is the wind made of?
The wind arrived suddenly and unexpectedly. It combed Margherita’s long black hair and blew amid her thoughts. It came from faraway lands, through the sea. During its long journey, it tickled things, scraped walls and rocks, stole pieces of tide, nuggets of sand, frailties of insects and chlorophyll, voices and noises mixed with dust. Margherita savoured its gusts and realized they were not colourless. Their flavour was of strange fruits and wild flowers. They talked a multitude of languages. The wind vibrated and lived like thick plankton. Margherita understood that it descended on landscapes and colours and learnt to watch it. She discovered images and light through the substance of the air. There was no emptiness before her, only the multifarious universe of the wind: myriads of ephemeral fragments, luminescence, new signs, refractions. She perceived the uniqueness of each instant was a consequence of the light and the passing wind. She tried to photograph it and paint it. Perspectives changed. Dim landscapes emerged from the layer of the wind. Her paintings became moments of light and air, saturated with juices from each season.
Margherita, like the wind, had accomplished a journey. From the free plain, where she fed on skies and breathed the cyclical change of the landscape, to the metropolis, where the same sky was only a stolen splinter from the roofs, time ran on, without clearly altering its colour. So, her look became sharper, it paused on small details which reminded her of what she had left behind and had found, anyway, still there, in front of her eyes. She captured those particulars, those glares, the impressions of those special days and poured them onto the canvas.
The gentle shades mixed with particles, dancing petals, concentrated clots of pure oil, dots of dazzling light and shadow, golden fades, serrated words, as they were whispered softly. A fresh pictorial material was born, giving shape to the energy, to the stream of consciousness, to the passing of the time and the air upon things, upon life. The landscapes stretched on the jute. Some of them held the horizon line, which swelled like a diaphragm between sky and land, sky and sea. Above, the breath exhaled as clouds dispersed towards the vastness or gathered violently. Underneath, some arid rose sweeps stretched out infinitely or some abysses of water, seen in their transparency and watched through the eyes of a fish, deepened in the dark, then widened among the slippery motion of the streams. Anyway, even the horizon would soon vanish. Everything became earth and sky blended together in the light. Dusty tones joined with acid or azure nuances; the sky is an upside down ocean rippled by the foams of the sun. The air is an ocean that passes and flows like a river.
Margherita was able to extract the oxygen from the water and explored the atmospheric dust, giving it a shape and a taste. She sewed some wings on herself. She created, thus, atmospheres, sensations, works that one can feel, through the eyes, on the skin and with the other senses and can be worn like clothes. A lot of meanings whirl around, trapped in the wind: scratches of rain, blades of light, a chain of inexorably long hours mark the body and the mind; meanwhile sweet stems, soft shades, cottons of smoke and caresses of sunsets heal. The universe exposed on the canvas is neither a rêverie, nor a fantastic dream; it is the light, bitter, splendid life which is caught in the yearning poetry of an image.
The wind brought unexpected gifts and, in the meantime, stole a small part of Margherita, eroded and transformed her. Its journey was their journey; every day was a journey without return, suspended between muffled, mysterious little nights, which were brightened by fireflies and perceptions, pervaded by scents and unknown shapes in the darkness. Everything passed, churned, resurfaced and was lost forever. Every instant flew, dragging away a bit of what Margherita was then covering her in new clothing.
Natalia Vecchia
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